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allattamento al seno

Fin quando prolungare l’allattamento al seno

L’argomento è senza dubbio molto discusso, soprattutto negli ultimi anni e soprattutto tra le mamme, spesso le più giovani, che purtroppo interagiscono tra loro seguendo modelli di comportamento e suggerimenti (trovati qui e lì sul web e testimoniati da presunte eccezionali esperienze) in grado non soltanto di interferire con il comportamento del bambino, ma anche e soprattutto con la sua salute.

Stiamo parlando dell’allattamento al seno e in particolar modo vogliamo soffermarci sul giusto periodo di tempo in cui questo vada condotto. Cosa sia, come vada condotto e quali siano i concetti di base da applicare a questa pratica sono tempi trattati nel precedente articolo su come funzioni l’allattamento al seno, adesso vogliamo concentrarci solo sulle cattive pratiche di prolungamento di questa forma di alimentazione del neonato.

Tendenze moderne

In seguito ad alcune affermazioni di note star e personalità in vista nel mondo dello spettacolo, nonché successivamente a una tendenza sviluppatasi negli ultimi anni per cui esista una fitta schiera di mamme “allattine” (ulteriore classificazione delle cosiddette “pancine”), si è stabilita la credenza comune che l’allattamento sia da prolungare perentoriamente ben oltre le linee guida stabilite dal Ministero della Sanità e naturalmente dall’OMS oltre che continuamente estese da pareri di medici autorevoli provenienti da differenti specialistiche interessate al tema, per cui l’allattamento “potrebbe” essere condotto anche fino al secondo anno di vita.

Questa sub-cultura prevede, infatti, che sia il bambino a “scegliere” quando allontanarsi dal seno materno per iniziare autonomamente ad alimentarsi con nutrienti classici e non venga sottoposto in modo forzato allo svezzamento, che nei casi più estremi può arrivare oltre il terzo/quarto anno di vita fino a rendere incredibilmente concepibile un’alimentazione alternata tra cibi solidi e latte materno fino al sesto.

Riflessioni etiche e questioni scientifiche

Indipendentemente da quanto questo comportamento agisca direttamente sulle eventuali ripercussioni sociali che una bambino di 3 anni possa subire in seguito alla messa in mostra della madre di questo rapporto insano di “interdipendenza liquida”, basti solo immaginare ai primi amichetti che potrebbero deriderlo sulla scia dello stupore di genitori culturalmente più preparati, o alle situazioni di scomodo in cui magari la madre creda di adempiere ai “bisogni” del bambino allattandolo in pubblico nonostante sia ormai impossibile tenerlo in braccio; esiste una componente strettamente collegata alla salute che è bene tener presente.

Quando l’apporto di latte materno è fisiologico

In questo senso è importante distinguere cosa sia vietato e cosa sia sconsigliato. La prima grande distinzione vogliamo farla tra l’allattamento esclusivo oltre il sesto/ottavo con conseguente ritardo del divezzamento o un allattamento accompagnatorio (se così possiamo definirlo).

Nel primo caso, è vietato alimentare il bambino soltanto con latte materno oltre l’ottavo mese di vita anche se è caldamente consigliato iniziare a proporre altri cibi al compimento del sesto mese. Le ragioni per cui questa pratica di alimentazione esclusiva non vada condotta oltre il tempo appena indicato sono semplici: il latte materno, oltre una certa età del bambino, non è più sufficiente ad adempiere a tutte i bisogni nutrizionali tipici del bambino; attuare questa pratica può favorire l’insorgenza anche di gravi carenze nutrizionali.

Nel secondo caso, le ragioni per cui l’allattamento oltre l’anno di vita sia sconsigliato sono molteplici ma non strettamente legate ad un aspetto salutare del bambino, quanto ad un rapporto emotivo tra madre e figlio, come precedentemente accennato. Ovviamente, esistono anche ragioni tendenti ad aspetti medici pratici per cui, proseguire con l’allattamento al seno materno oltre l’anno di vita, è quantomeno inutile.

La riflessione di natura scientifica da fare è piuttosto semplice e anche intuitiva se ben si comprende il funzionamento del latte materno. Come già spiegato nel nostro precedente articolo esistono tre differenti tipi di latte prodotti dalle ghiandole mammarie della donna: colostro, montata lattea (o latte di transizione) e latte definitivo (o latte maturo); nel primo caso l’apporto nutrizionale è quantomeno essenziale, poiché il colostro trasferisce dalla madre al bambino una prima quota di anticorpi e difese immunitarie, nonché di principi nutrivi, fondamentali per ricevere il nutrimento futuro oltre che per proteggerlo dagli agenti patogeni non soltanto ingeriti ma anche esterni; nel secondo caso si tratta di un adattamento funzionale che non fa altro che predisporre il neonato al latte definitivo, soprattutto in termini di sapore e consistenza; nel terzo caso, con la produzione e conseguente suzione di latte materno maturo si assiste ad un processo nutrizionale completo (ricordiamo per le prime necessità del bambino) per cui venga fornita la giusta quota calorica nonché l’esatto rapporto di nutrienti distribuiti tra grassi, proteine, zuccheri, vitamine e sali minerali, e vengano trasferite gradualmente ulteriori difese immunitarie dalla madre al piccolo atte a sopperire ai deficit temporanei causati dalla formazione del sistema immunitario proprio del neonato. Cosa significa? Non essendo, in questa fase, il bambino completamente immunocompetente, è necessario che una quota parte delle difese immunitarie provenga dall’esterno, cioè dalla madre: generalmente, fatto salvo di condizioni patologiche che verrebbero prontamente individuate dallo staff medico di riferimento, il sistema immunitario di un neonato avrà raggiunto una completa maturità e autonomia già al sesto/ottavo mese di vita.

Quando l’allattamento venga prolungato oltre l’anno di vita, soprattutto in via esclusiva, sono numerose le condizioni inaspettate (potrebbero presentarsene anche di patologiche), tra tutte non sarà dato prevedere come l’apparato escretore e digerente del bambino reagirà, potrebbero verificarsi problemi di stitichezza o di feci poco formate e conseguenti periodi di diarrea, il passaggio a un’alimentazione solida o comunque più compatta e regolare potrebbe essere tortuoso quando rimandato per troppo tempo con conseguente abuso di farmaci o “metodi fai da te” per aiutare lo svuotamento dell’intestino dei bambini, come clisteri o perette, pratiche che comunque necessitano di una supervisione medica e che dovrebbero essere limitate alle condizioni di impiego strettamente necessarie.

La questione del microbiota

Quando parliamo di sistema immunitario, ormai, secondo le ultimissime scoperte in ambito medico, grazie all’intervento della microbiologia, non possiamo discostarci dal concetto di microbiota intestinale e conseguente microbioma (accenniamo alle differenze che passano tra questi due termini ricordando che il primo si riferisce alla totalità delle specie batteriche contenute nell’intestino, il secondo ai geni espressi da queste ultime).

Il latte materno, oltre a fornire nutrienti, partecipa alla colonizzazione del tratto digerente del neonato, non soltanto interferendo con l’aspetto immunologico (ricordiamo che gran parte dell’intero sistema immunitario corporeo è affidato alle specie batteriche e le barriere dell’intestino tenue) ma anche con la formazione del microbiota intestinale e conseguente metaboloma: per metaboloma intestinale vengono intesi i rapporti di interdipendenza delle specie batteriche intestinali atti a favorire o meno determinati processi digestivi e di assorbimento, interagendo dunque sull’intero metabolismo non solo intestinale ma cellulare di tutto il corpo.

Oltre una certa età, identificata a partire dal 6° mese di vita del bambino, come suggerito da uno dei più illustri esperti di microbiota intestinale europei, il professor Antonio Gasbarrini, l’apporto microbico di batteri buoni che il latte materno fornisce allo stomaco, duodeno, intestino tenue e colon del bambino diventa insufficiente, per cui è essenziale procedere con un giusto svezzamento che preveda l’inserimento nella dieta di alimenti ad alto tenore nutrizionale soprattutto per le funzioni intestinali, tra tutti le fibre.

Conclusioni

Come è semplice ricavare da quanto detto, nonostante alcune strambe tendenze moderne prevedano di allattare i bambini oltre l’anno di vita, addirittura prolungando l’allattamento esclusivo, cioè privando il bambino dell’importantissima fase di svezzamento, una buona pratica medica -prima ancora che una sana coscienza- prevede di iniziare lo svezzamento entro il 6°/8° mese e di non prolungare l’allattamento oltre i primi 12 mesi. Le ragioni, come già ripetuto più volte, qualora non si volesse entrare nel merito strettamente riservato agli aspetti psicologici e sociologici della cosa, sono semplici: oltre una certa età, l’allattamento al seno è inutile.