Lo shock nel bambino è una condizione abbastanza frequente tra le cui cause principali si riscontra sicuramente la disidratazione dovuta, in genere, da vomito e diarrea. Lo shock è un fenomeno molto grave ad evoluzione rapida che spesso, se non trattato tempestivamente può determinare la morte; per tale motivo è fondamentale saperne riconoscere i sintomi, le cause e i trattamenti di mettere in atto, nonché i metodi di prevenzione in caso di rischio.
Pertanto vediamo insieme di cosa si tratta, quali sono i segni e sintomi, e come classificare i vari tipi di shock.
Che cosa è lo shock?
Lo shock è caratterizzato da un’importante insufficienza cardiocircolatoria con conseguente alterazione della perfusione sanguigna; ciò vuol dire che vi è un’impossibilità da parte dell’organismo di trasportare un’adeguata quantità di ossigeno ai tessuti e di rimuovere i cataboliti. A causa di questi fattori, si instaura all’interno dell’organismo un metabolismo anaerobio con acidosi lattica che può comportare insufficienza d’organo grave.
Se non si interviene in tempi brevi e in maniera adeguata, lo shock può portare alla morte del bambino, nella cui ultima fase vi è insufficienza multiorgano. Possiamo distinguere lo shock “freddo” da quello “caldo”; il primo consiste in una maggiore costrizione dei vasi, mentre nel secondo vi è una maggiore vasodilatazione.
Esistono vari tipi di shock e possiamo classificarli in base all’eziologia e alle variazioni fisiopatologiche indotte nel paziente.
In base all‘eziologia abbiamo:
- shock ipovolemico; questo tipo di shock è uno dei più frequenti in età pediatrica ed è caratterizzato da un volume ematico intravascolare non adeguato in rapporto alla spazio intravascolare disponibile. Le cause scatenanti in genere sono disidratazione ed emorragia;
- shock cardiogeno; è determinato da un’alterata funzionalità del miocardio, per cui il volume ematico spesso rientra nella normalità, ma la disfunzione del cuore altera l’output. Solitamente le cause sono legate a Cardiopatie neonatali (congenite e acquisite);
- shock distributivo; in tal caso la caratteristica è l’inappropriata distribuzione del volume ematico all’interno dell’organismo. Tipico shock distributivo è lo shock settico.
In base alle variazioni fisiopatologiche indotte nel paziente, invece, possiamo classificare lo shock in:
- compensato: all’inizio, all’interno dell’organismo si attivano dei meccanismi che tentano di compensare e che permettono di mantenere il livello di pressione sistolica nel range di normalità; tuttavia sono presenti dei segni che evidenziano comunque lo stato di shock come il pallore, la cute fredda, stato di agitazione, confusione e tachicardia.
- scompensato: in questo caso, alla condizione sopra descritta, si aggiunge l’ipotensione sistolica; per cui il bambino è ipoteso con tachipnea, obnubilato e inoltre vi è una condizione di anuria (il bambino non urina).
- irreversibile: arrivati a questo stadio, il danno dei tessuti è così grave che anche un tentativo di ripristino della normale attività emodinamica, risulta inutile, per cui il bambino muore. Questa fase è caratterizzata da insufficienza respiratoria, coma, oliguria.
In generale diciamo che lo shock evolve in due fasi, una fase precoce e una tardiva. Nella prima fase l’organismo mette in atto una serie di meccanismi di compenso in modo da mantenere la perfusione e l’ossigenazione degli organi vitali. I segni clinici per riconoscere questa fase sono tachicardia, tachipnea, cute pallida, estremità fredde, aumento del tempo di riempimento capillare, polsi periferici iposfigmici, contrazione della diuresi e alterazione del sensorio; inoltre, in questa fase, non c’è un’alterazione della pressione arteriosa (shock compensato).
Quando la pressione arteriosa diminuisce, passiamo alla fase tardiva; in tal caso si verifica un deterioramento della funzione cardiovascolare e della perfusione sistemica che volge ad una situazione di irreversibilità con conseguente morte (shock scompensato).
Di seguito, vediamo più nel dettaglio i principali tipi di shock che possono verificarsi in età pediatrica con relativi sintomi e trattamenti.
Shock ipovolemico
Lo shock ipovolemico è la forma più comune di shock in età pediatrica; le cause principali sono la perdita ematica secondaria a traumi, e disidratazione in seguito a diarrea acuta.
Una perdita ematica acuta pari al 10-15% del volume circolante è ben bilanciato dal bambino grazie ai meccanismi compensativi, quali: tachicardia; vasocostrizione; redistribuzione del flusso sanguigno agli organi vitali. Inoltre, molti liquidi vengono recuperati grazie all’ipoperfusione renale che causa un iperaldosteranismo secondario con ritenzione di acqua e sodio; quando invece la perdita acuta è pari al 20-25% del volume circolante, l’organismo non riesce più a compensare e compaiono subito i segni clinici dello shock. Come già detto, se la fase di compenso non viene ben trattata può evolvere verso uno stato di shock avanzato, quindi in un’insufficienza d’organo, seguita da acidosi, impegno respiratorio, tachicardia estrema e coma.
Un adeguato intervento in un bambino che presenta i segni clinici dello shock ipovolemico prevede la rilevazione dei seguenti parametri:
- Stato di coscienza;
- Tipo di respiro;
- Stato della cute (cute, temperatura, riempimento capillare)
- Parametri vitali;
- Diuresi (meglio se con catetere vescicale)
Importante è anche l’esecuzione di esami ematochimici attraverso un prelievo ematico, per valutare la funzionalità degli organi: dosaggio di urea, creatinina, elettroliti, emogasanalisi, osmolarità, glicemia, ALT, AST, CPK, PT, PTT, fibrinogeno e i suoi prodotti di degradazione; un emocromo è utile negli stati ipovolemici e in quelli infettivi.
L’immediato riconoscimento dello shock nelle sue fasi iniziali è estremamente importante per l’avvio tempestivo della terapia, dalla cui rapidità dipende la prognosi.
Il trattamento universale di ogni tipo di shock prevede quindi il supporto delle vie aeree e della respirazione (ossigeno, precoce ventilazione assistita), il monitoraggio continuo dello stato cardiocircolatorio e dei parametri vitali, il controllo della temperatura e degli eventuali squilibri metabolici e l’avvio rapido della cosiddetta “rianimazione aggressiva con fluidi”, al fine di ripristinare rapidamente il volume circolante e quindi la perfusione e l’ossigenazione dei tessuti. Esso va ottenuto attraverso la somministrazione di boli di fluidi (20 ml/kg) quali colloidi (albumina in soluzione fisiologica, plasma fresco, tutte le proteine del sangue, fattori della coagulazione), cristallodi isotonici (soluzione fisiologica, ringer lattato) o sangue. Se dopo il primo bolo il quadro clinico non migliora bisogna ripetere un secondo bolo di 20 ml/kg.
Se dopo questo primo approccio terapeutico ancora non è evidente alcun miglioramento clinico, è probabile ci sia una complicanza (emorraggia in atto, depressione miocardica, sepsi, pneumotorace, versamento pericardico ecc), quindi è necessario il monitoraggio della pressione venosa centrale e il trasferimento in un reparto di cure intensive. Spesso, si può presentare acidosi metabolica secondaria al metabolismo anaerobico cellulare che migliora con il ripristino della perfusione e dell’ossigenazione tissutale.
Se l’acidosi ha effetto negativo sul sistema cardiovascolare, è necessario agire mediante una correzione con bicarbonato per valori di pH inferiori a 7,20-7,10. La quantità del bicarbonato da somministrare in situazioni di emergenza è pari a 1-2 mEq/kg. Anche l’ipoglicemia e l’ipocalcemia sono alterazioni metaboliche frequenti che necessitano di pronto trattamento.
I liquidi devono essere infusi quanto più rapidamente possibile, da 5 a 10 minuti, in caso di severa emorragia dopo trauma, grave disidratazione o shock scompensato. In presenza di disfunzione miocardica bisogna infondere un volume minore di liquidi, da 5 a 10 ml/Kg in modo più graduale, dai 10 ai 20 minuti. La soluzione glucosata non è adeguata, in quanto grosse quantità di glucosio sono controindicate nelle emergenze perché l’iperglicemia può indurre diuresi osmotica, determinare o aggravare l’ipokaliemia e peggiorare eventuali lesioni cerebrali ischemiche.
In caso di mancata risposta alla soluzione cristalloide isotonica, somministrare inotropi quali:
- Adrenalina (0.1 – 1 ug/kg/minuto);
- Dopamina (dopamina: 2-20 ug /kg/minuto).
In caso di risposta al trattamento:
- trasferire in U.T.I. per proseguire i monitoraggi;
- da considerare anche l’inizio di un trattamento antibiotico (es. Rocefin 100 mg/Kg )
In caso di mancata risposta trasferire in Rianimazione per:
- accesso venoso centrale;
- monitoraggio arterioso.
Nel paziente pediatrico traumatizzato, se lo shock persiste dopo aver somministrato da 40 a 60 ml/kg di soluzione cristalloide isotonica, allora va eseguita la trasfusione di sangue, così come in caso di sanguinamento attivo o segni di anemizzazione.
Se presenta coagulazione intravascolare disseminata:
- Plasma fresco 10-20 ml/Kg;
- Piastrine 1 U/Kg aumenta le piastrine di 100.000.
Dopo aver accertato che il bambino è in stato di shock, è importantissimo monitorare il paziente in modo continuo attraverso:
- Monitoraggio ECG nelle 24 ore. Il monitoraggio elettrocardiografico serve per scoprire le varie complicanze cardiache: ischemie miocardiche, alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico, aritmie e secondarie
- Monitoraggio emodinamico: attraverso l’incanulamento si misura la pressione arteriosa. In questi casi la misurazione va fatta usando l’arteria femorale o quella radiale.
- Monitoraggio della funzione respiratoria e metabolica utilizzando una tecnica semplice e non invasiva chiamata pulsossimetria (conosciuta anche come ossimetria cutanea)
- Monitoraggio della funzione renale
- Monitoraggio di altri dati di laboratorio.
Detto ciò, bisogna aggiungere i valori che vanno tenuti sotto controllo e verificati in modo periodico:
- Assetto emocoagulativo: Piastrine, PT, PTT, Fibrinogeno, D-dimero
- Esame emocromocitometrico con formula leucocitaria o
- Enzimi sierici: AST, ALT, LDH, CPK, amilasi;
- Lattati;
- Elettroliti plasmatici: sodiemia, potassiemia, cloremia, calcemia;
Shock cardiogeno
Lo shock cardiogeno è caratterizzato dall’incapacità del cuore di funzionare come pompa, quindi da insufficienza cardiocircolatoria. Nell’età pediatrica, la diagnosi di shock cardiogeno non è sempre facile, a causa di una miriade di cause eziologiche, sebbene non sia una patologia frequente, rappresenta la causa di un gran numero di ricoveri nelle Terapie intensive pediatriche. Spesso lo shock cardiogeno si presenta nella fase post-operatoria dopo la correzione chirurgica di patologie congenite del cuore. La funzionalità cardiaca può essere secondariamente compromessa da tachicardia ad alta frequenza, e alcune forme di tachicardia che si presentano tipicamente dopo correzione chirurgica di difetti cardiaci.
I segni clinici dello shock cardiogeno sono:
- Estremità fredde
- Ipotensione
- Polso piccolo
- Tendenza all’immobilità
- Ritmo di galoppo con tachicardia (o altra aritmia solitamente ipercinetica)
- Cianosi, pallore, colorito grigiastro
- Epatomegalia
- Giugulari turgide
- Rumori umidi polmonari
Il trattamento dello shock cardiogeno prevede l’utilizzo di fluidi in boli di 5-10 ml/kg e di un immediato utilizzo di farmaci inotropi, vasodilatatori e diuretici che devono essere somministrati in modo continuo per via venosa centrale.
I vasodilatatori più utili in questi casi sono quelli a rapida azione e breve vita media. I diuretici sono necessari per ridurre la ritenzione idrica secondaria all’ipoperfusione renale.
Shock distributivo
La forma più comune di shock distributivo è lo shock settico che continua ad essere la causa più comune di morte in età pediatrica. I pazienti più esposti a questo tipo di shock sono i neonati e lattanti, gli immunodepressi, ustionati o portatori di cateteri. I gram-negativi sono gli agenti più comuni che possono causare lo shock settico, ma anche funghi o virus possono esserne la causa. La velocità con ci si verificano gli eventi che caratterizzano il quadro clinico dello shock è determinata dalla risposta infiammatoria dell’ospite. La fase precoce dello shock settico è caratterizzata da vasodilatazione periferica seguita da elevata gittata cardiaca. Il bambino presenterà febbre, tachicardia, tachipnea, estremità calde, aumento della pressione arteriosa con tendenza all’ipotensione. Quando la gittata cardiaca non riesce più a compensare le resistenza periferiche e si aggiunge una ridotta contrattilità cardiaca, il quadro clinico si evolve in ipotensione con estremità fredde, ritardo di riempimento capillare, insufficienza d’organo e lattacidemia dovuta alla poca ossigenazione tissutale.
Il trattamento prevede la terapia aggressiva con antibiotici ad ampio spettro in attesa del risultato della cultura e relativo antibiogramma per somministrare una terapia più mirata, un’abbondante somministrazione di fluidi per recuperare un’adeguata perfusione d’organo, vasopressori (noradrenalina oppure dopamina) per ristabilire una giusta pressione e corticosteroidi (idrocortisone) a basse dosi.