Ti stai chiedendo cosa succede quando arriva il momento di partorire in ospedale?
Sei una futura mamma e sei impaziente di stringere tra le braccia quel fagotto di gioia che è nella tua pancia? Attesa, trepidazione, amore e anche un po’ di paura per quello che deve succedere. Ma stai tranquilla, mantieni la calma e goditi ogni istante di questo nuovo inizio che ti attende.
Adesso vogliamo raccontarti in dettaglio quello che succede quando vai a partorire in ospedale.
Quando andare in ospedale per partorire
È classico: quando scocca la data presunta del parto o già quando si avvicina rapidamente, il panico è dietro l’angolo e la mente si affolla di pensieri. Tante domande su come e quando andare in ospedale, soprattutto se sei al tuo primo parto. Una però prevale su tutte le altre in modo prepotente: quand’è il momento giusto per andare in ospedale?
Partiamo da un paio di considerazioni fondamentali. Innanzitutto, le 40 settimane che, in modo canonico, definiscono il tempo di una gravidanza sono indicative: ogni gestazione è a sé, si può partorire a 37 settimane così come arrivare a 41 e oltre. Quindi, non fatevi prendere dall’ansia perché tanto è il vostro piccino a decidere quando venire al mondo.
Seconda cosa. Non è detto che il travaglio scatti immediatamente alle prime contrazioni o se si rompono le membrane: mettetevi il cuore in pace perché potrebbe passare parecchio tempo. Ecco perché è importante sapere quando è il caso di andare in ospedale o se potete crogiolarvi un altro po’ a casa.
Compaiono i primi dolori, le acque si rompono e arrivano le contrazioni: è il momento tanto atteso, tra poche ore il bambino nascerà e con lui (o lei) arriveranno le gioie della maternità. Già nei nove mesi di gestazione si è creato tra la mamma e il suo bambino uno scambio di messaggi che hanno favorito l’instaurarsi di un legame che non verrà certo spezzato dal taglio del cordone ombelicale. Ma quali sono i passi che la futura mamma dovrà fare prima di mettere alla luce il suo bambino? Innanzitutto dovrà portare con sé tutti gli esami eseguiti nei nove mesi di gravidanza. Poi le verrà assegnato un braccialetto con un numero che sarà poi messo anche al polso del bambino come segno di riconoscimento.
Il primo controllo medico è una visita ostetrica, per accertare a che punto è la dilatazione dell’utero: se è soltanto allo stadio iniziale la mamma viene trattenuta in reparto in attesa che le doglie diventino più frequenti e intense. Se invece la dilatazione è a buon punto, la mamma è ammessa direttamente in sala travaglio. Dal momento in cui avvengono le prime contrazioni alla nascita del bambino possono trascorrere dalle 12 alle 24 ore (ma in sala travaglio in media si rimane dalle 6 alle 12 ore). Durante questo tempo, la futura mamma viene visitata dall’ostetrica o dal ginecologo per accertarsi che le contrazioni si susseguano regolarmente e che la dilatazione dell’utero proceda normalmente. Quando la dilatazione del collo dell’utero è finalmente completa e la testa del bambino è ben posizionata verso l’uscita del canale del parto, è arrivato il momento di trasferire la mamma in sala parto: il bambino sta per nascere.
Prima di andare in ospedale a partorire
Quando la gravidanza sta per volgere al termine, meglio se un mese prima, è opportuno predisporre tutto il necessario per affrontare al meglio il momento del parto e la permanenza in ospedale. Tra le incombenze principali occorre porre particolare cura alla preparazione degli indumenti e degli oggetti personali da portare al reparto di maternità. Ecco cosa non dovrebbe mancare nella borsa:
- per il neonato: 3-4 tutine in cotone o spugna a mezze maniche o a maniche lunghe, a seconda della stagione; 3-4 magliette in cotone con mutandine o body; 1-2 asciugamani per il cambio del bebè
- per la mamma: 3 camice da notte con maniche larghe per il parto e aperte sul davanti per poter poi allattare, un paio di pantofole, una vestaglia, una confezione di assorbenti grandi (da usare dopo il parto), una confezione di mutandine usa e getta, un reggiseno per l’allattamento, qualcosa da leggere o un po’ di musica, occorrente per l’igiene personale (compresi asciugamani e detergente intimo), tessere telefoniche (spesso il cellulare non è permesso).
Inoltre è bene provvedere a mettere nella borsa i documenti necessari per il ricovero:
- la tessera sanitaria
- la carta d’identità
- la scheda del proprio medico
- il cartellino del gruppo sanguigno
- la documentazione degli esami e/o delle visite specialistiche effettuate durante la gravidanza.
Cosa succede in ospedale
Il ricovero è un momento delicato, carico di aspettative e timori anche se l’ospedale è un ambiente in parte già conosciuto dalle future mamme perché frequentato durante la gestazione per diversi motivi (per esempio i controlli della gravidanza a termine, il corso di preparazione al parto, la partecipazione ad incontri informativi).
Arrivando in ospedale, non bisogna lasciarsi prendere dal panico: in questa delicata fase è importante soprattutto la presenza del proprio partner. Il ricovero avviene se ci sono le contrazioni, se c’è un accorciamento del collo dell’utero e una dilatazione di almeno 2 centimetri, se c’è stata la rottura delle membrane, se ci sono perdite di sangue, e ancora, se ci sono particolari situazioni di rischio o se la mamma è soggetta a un accentuato stato di ansia.
Una volta ricoverata, la futura mamma è affidata all’ostetrica che, per avere un quadro più preciso della situazione, rivolge una serie di domande su quanto è accaduto nelle ultime ore: se si sono già rotte le acque, con quale frequenza si sono manifestate le contrazioni e se l’intestino è già stato liberato (in caso contrario verrà somministrato un clistere).
L’ostetrica procede quindi alla visita con la palpazione dell’addome (per stabilire la posizione del bambino), l’auscultazione del battito del feto, la misurazione della pressione sanguigna, del battito cardiaco e della temperatura corporea. Effettua poi un’esplorazione vaginale per determinare a quale punto si trova la dilatazione del collo dell’utero. La mamma è anche sottoposta ad un esame delle urine per controllare l’eventuale presenza di proteine e zuccheri. A questo punto si passa alla sala travaglio-parto dove si trascorrono le fasi del travaglio avanzato e del parto. In alcuni ospedali le due zone (travaglio e parto) sono separate, in altri avvengono nello stesso luogo.
La mamma può approfittare di questo momento per chiarire eventuali dubbi con l’ostetrica o il ginecologo che la seguono (se si desidera un parto naturale, se si vuole camminare durante il travaglio o se si hanno altre esigenze).
Arriva il momento del travaglio
Il pretravaglio è quel periodo di tempo, variabile da donna a donna, che comincia tre o quattro settimane prima dell’inizio del vero travaglio. Durante questo periodo, il bambino trova la sua posizione e il suo corpicino occupa una zona più vicina al collo dell’utero della mamma, mentre la parte inferiore dell’utero si assottiglia.
La donna avverte un senso di tensione e dolori simili a quelli mestruali: possono manifestarsi anche contrazioni, ma sono occasionali, inefficaci e non dolorose. È possibile osservare la perdita del cosiddetto “tappo mucoso” (che durante la gravidanza chiude il canale cervicale), ossia di una secrezione vischiosa, nella maggior parte dei casi mista a qualche striatura rosato o brunastra. Ciò indica che il collo dell’utero si sta modificando. La perdita del tappo mucoso, anche se è il primo segno incoraggiante, è un indicatore molto impreciso in quanto precede l’insorgenza del travaglio, di un giorno o anche di settimane: quindi è inutile correre in ospedale.
È il periodo culminante della gravidanza in cui ci si augura un travaglio ed un parto tranquillo, ossia rilassato e sereno.
E la serenità dipende dalla familiarità delle persone e delle cose che circondano la futura mamma. Il rilassamento, poi, dipende da quanto si è consapevoli di ciò che sta accadendo, per esempio con la possibilità di poter controllare il proprio corpo con la respirazione e con altre tecniche ed esercizi imparati in precedenza.
Documentandosi su tutti gli aspetti del travaglio e del parto si prova meno dolore e si gusta appieno la gioia di dare alla luce il proprio figlio. La durata del travaglio è in genere più lunga (12-14 ore circa ma può variare da donna a donna) quando si tratta del primo figlio, altrimenti non supera le 7 ore. In genere meno intense sono le contrazioni, maggiore è la durata del travaglio. Un travaglio molto rapido comincia in genere con contrazioni lunghe e lente che si protraggono fino al termine.
Il parto naturale in ospedale
Dopo nove mesi ci siamo: è arrivato il momento tanto atteso e tra poco la mamma potrà finalmente abbracciare il suo figlioletto. Ma quali sono i passaggi che precedono la nascita di un bambino? I momenti salienti del parto sono quattro:
- il periodo prodromico, che segna l’inizio del travaglio ed è caratterizzato da contrazioni ritmiche dolorose;
- il periodo dilatante, che conduce alla dilatazione completa della cervice;
- il periodo espulsivo (che si conclude con la nascita del bambino), ossia quando il feto viene spinto verso l’esterno attraverso il canale del parto;
- il secondamento, ossia il periodo immediatamente dopo la nascita in cui placenta e membrane si staccano dall’utero e vengono espulse.
Ma vediamoli nel dettaglio Le contrazioni sono il segnale più evidente dell’inizio del parto. Servono per preparare il collo dell’utero al passaggio del bambino. Inizialmente si presentano ogni venti minuti, poi ogni quarto d’ora, per poi passare a ogni dieci e infine a cinque minuti. All’inizio i dolori sono sopportabili, poi diventano sempre più intensi e ravvicinati fino a presentarsi a distanza di 1-2 minuti e con una durata di 40-60 secondi. Durante queste contrazioni tutta la muscolatura dell’utero si irrigidisce e il bimbo viene spinto lentamente verso il basso.
Nel frattempo il collo dell’utero si appiattisce gradualmente fino a raggiungere i dieci centimetri di dilatazione necessari al passaggio del bambino. Durante questa fase di solito avviene anche la rottura delle acque, ossia del sacco amniotico (le membrane che proteggono il sacco si rompono e fuoriesce un liquido chiaro in cui sono presenti le prostaglandine, sostanze prodotte dall’organismo della mamma e del bambino che stimolano le contrazioni).
Il travaglio per partorire
Il travaglio inizia quando il collo dell’utero comincia a dilatarsi, dopo essersi ammorbidito e assottigliato. Affinché il bambino possa nascere la dilatazione deve essere massima, quindi raggiungere dieci centimetri circa. Nella fase del travaglio in genere la mamma può assumere la posizione che più la mette a suo agio e che la fa soffrire di meno: stare in piedi, camminare, sdraiarsi, sedersi.
Ogni due ore viene registrato il battito cardiaco del feto per 20-30 minuti, per scongiurare qualsiasi possibile segno di sofferenza, e viene controllata la dilatazione dell’utero. Nel caso di una prima gravidanza il travaglio dura generalmente di più perché i tessuti sono più tonici e quindi occorre una forza e un tempo maggiori per dilatare il collo dell’utero e far passare il bambino attraverso il canale del parto.
La fase espulsiva
La fase espulsiva inizia quando il collo dell’utero è completamento dilatato. Inizialmente la testa del bebè tende a scendere nel canale del parto e, ruotando leggermente, a disporsi nel modo migliore per uscire. Quando la testa del piccolo è scesa verso l’uscita del canale del parto a pochi centimetri dietro l’ingresso della vagina, vuol dire che ha attraversato quasi tutto il canale del parto. Inizia così la fase espulsiva vera e propria. Infatti la testa del bambino, mossa dall’utero che si contrae, schiaccia il retto contro l’osso sacro cosicché la futura mamma sente il bisogno incontenibile di spingere. Con le spinte la testa scende e dilata la vulva, ultimo ostacolo alla nascita del bambino.
Dopo la nascita del piccolo la mamma deve restare ancora qualche tempo in sala parto, seguita dall’ostetrica, per il cosiddetto secondamento, ossia l’espulsione della placenta. In seguito al parto, poi, l’utero della mamma ricomincia a contrarsi e a ridursi per ritornare alle sue dimensioni originarie: è grazie a questi movimenti muscolari che nel giro di un’ora circa la placenta si stacca dalle pareti uterine e viene espulsa. A questo punto il parto è completato.
Il parto cesareo
Il parto cesareo è un intervento chirurgico che viene eseguito per estrarre il feto quando si verificano condizioni particolari che impediscono al bambino di nascere naturalmente. L’intervento è indicato solo in particolari situazioni come, ad esempio, in presenza di problemi riguardanti il feto (sofferenza fetale), problemi riguardanti la madre (precedenti parti cesarei, diabete, placenta previa, infezioni, patologie cardiache, respiratorie o renali), condizioni che causano un anomalo svolgimento del parto (anomalie delle contrazioni uterine), gravidanze gemellari (se i feti si ostacolano a vicenda).
Il parto cesareo può essere effettuato in anestesia generale o in anestesia regionale (spinale o peridurale). Oggi si tende sempre più frequentemente a scegliere questa seconda possibilità. Si procede, quindi, con l’anestesia regionale che permette alla donna di rimanere sveglia e cosciente durante l’intervento e di vivere in piena consapevolezza l’esperienza della nascita del proprio figlio. L’intervento chirurgico deve essere effettuato necessariamente in anestesia generale:
- in situazioni di emergenza che potrebbero essere rischiose per la vita della madre e/o del feto
- quando si deve intervenire su una paziente in cui siano presenti particolari condizioni che rendono controindicata l’anestesia regionale
Il neonato è un “esserino” tozzo, con un grande tronco e un grande capo, arti corti e un peso che si aggira tra i 3 e i 3,5 chili (ma ampiamente variabile). È lungo circa 50 cm e può nascere a termine o prima del termine (prematuro) oppure oltre il termine (postamaturo). Le ossa del cranio non sono ancora saldate tra loro e al tatto sono evidenti spazi vuoti, come la fontanella anteriore, che si chiude verso i 12-16 mesi (o anche dopo) e che è costituita da un tessuto fibroso molto resistente che protegge il cervello del bambino. Alla nuca è talvolta palpabile un’altra fontanella, la fontanella posteriore, molto piccola, che si chiude in poche settimane.